E’ bastata una foto, una foto sola per scatenare una pioggia di vicinanza, preghiere, entusiasmi…e “like”! Ma soprattutto richieste…”posso leggere?”, “me la puoi inviare?”, “anche io voglio una copia!”… e via di questo passo.
Ad essere sincera non me l’aspettavo, anzi, devo dire che ho postato quasi ingenuamente la mia foto con in mano la tesi fresca di stampa, sul gruppo di Mamme e Mogli per vocazione, l’ho fatto senza pensarci tanto.
Ma il titolo è stato una calamita: “Eros purificato e grandezza di Dio. La regolazione naturale della fertilità alla luce delle catechesi sull’amore umano di Giovanni Paolo II”.
Che cosa ha colpito? Il fatto di parlare di erotismo avvinandolo al nome di Dio? Il tema della regolazione naturale della fertilità? O Giovanni Paolo II? Io non lo so, posso solo constatare il fatto che, da quando conosco che cosa è una laurea (e ne ho fatte tre), questa è la prima volta che ricevo richieste di lettura di una tesi da parte di un numero incalcolabile di persone… in qualsiasi stato di vita esse siano.
Forse, a pensarci bene, la curiosità che ne è nata è dovuta al fatto che tutti, nessuno escluso, hanno delle domande intime, profonde e inviolabili che riguardano la propria esistenza, come uomo e donna, e l’erotismo, questo grande e intenso istinto, crea sempre in modo più o meno evidente delle difficoltà nella comprensione di sé.
Tuttavia c’è una risposta, una Grande risposta, che una persona semplice ma innamorata di Cristo e dell’uomo, Giovanni Paolo II, ha cercato di svelare al mondo a piccoli passi, perché nulla andasse perduto e perché nessuno potesse inciampare lungo il cammino. Forse il titolo ha offerto il “profumo” di questa risposta e, come quando da lontano si sente il profumo del pane appena sfornato, si è sentito un languorino interiore che chiedeva di essere saziato.
E allora eccomi. Visto che Gesù ha detto di provare a dare noi stessi da mangiare, cercherò di donare i miei “due pani e cinque pesci”, consapevole che solo Lui può fare il miracolo.
Teologia del corpo: cos’è?
Quando si parte per una camminata in montagna, bisogna sapere bene cosa c’è da mettere dentro lo zaino, che cosa ci può servire lungo il sentiero: cibo giusto, bevande giuste, varie cose di utilità pratica (per esempio mio marito non può partire senza il suo coltellino svizzero e una bottiglietta di vino rosso). Soprattutto dobbiamo sapere dove vogliamo arrivare, anche se non sappiamo bene come sarà la meta e la possiamo solo immaginare; dobbiamo avere con noi una mappa dove ci sia segnato il percorso con eventuali ostacoli, anche se non sappiamo come e se li supereremo indenni; dobbiamo avere le calzature adeguate perché il nostro passo sia sicuro anche in situazioni sfavorevoli.
Giovanni Paolo II ha fatto questo: con le sue 133 catechesi sull’amore umano nel piano divino, ha voluto darci le indicazioni su come preparare il nostro zaino, in particolare ha voluto descriverci cosa ci attenderà alla Meta, come uomo e come donna. Nel farlo ha voluto anche camminare con noi: fin dalla sua giovinezza Karol Wojtyla è stato in mezzo alle famiglie, ha vissuto con loro le tribolazioni della Seconda Guerra Mondiale, ha accolto il loro fervore nel vivere nella libertà, ha tremato con loro per i venti gelidi delle ideologie totalitariste, ha lottato per mantenere viva e presente la cristianità, ha gioito per ogni amore che nasceva in una coppia.
Una volta divenuto Papa, Giovanni Paolo II sentì l’urgenza di rispondere alle istanze più profonde del popolo di Dio, per far comprendere che ogni ideologia, ogni tentativo di incasellare l’uomo, nella realtà dei fatti, sempre dimentica ciò per cui egli è chiamato ad esistere, sempre dimentica quale sia la sua provenienza e quale sia la destinazione ultima, sempre dimentica che l’uomo è un tutt’uno di corpo, mente e spirito.
Wojtyla soprattutto volle rispondere ad una necessità che Papa Paolo VI aveva precedentemente accennato nella sua enciclica Humane Vitae, ovvero il fatto che
Ogni altro problema riguardante la vita umana, va considerato al di là delle prospettive parziali… nella luce di una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna.
Humanae Vitae,7
Paolo VI non era riuscito a spiegare quale fosse questa “visione integrale dell’uomo“, la sua enciclica non era stata per nulla compresa e i forti malumori e le separazioni che nacquero all’interno della Chiesa dopo la pubblicazione dell’enciclica lo costrinsero al silenzio.
Ci provò allora Giovanni Paolo II, ma lo fece in un modo inedito, tanto incomprensibile che solo pochi capirono la portata della sua riflessione teologica sul “fatto umano”. Per cinque anni, dal 1979 al 1984, ogni mercoledì egli espose una catechesi sul tema dell’amore nel piano di Dio: propose un lungo cammino di riflessione sul vero significato dell’amore umano, sbriciolando passo passo quella antropologia adeguata che coinvolgesse correttamente la corporeità, che sapesse dare il giusto posto alla sessualità umana, e che, quindi, potesse rispondere alle esigenze più profonde di ogni uomo e donna, esigenze che, dopo la rivoluzione sessuale del ’68, erano divenute pressanti e a volte prepotenti.
Anche noi vorremmo proporre un percorso, o almeno ci proviamo, per capire a che cosa siamo chiamati, così come siamo, col nostro corpo, con la nostra sessualità, col nostro modo di essere al mondo. Parleremo meglio di teologia del corpo, della vocazione coniugale, di metodi naturali da un punto di vista laico e da un punto di vista cristiano, di desiderio e di castità, di erotismo e di redenzione.
La teologia del corpo – cioè la riflessione teologica su che cosa dice il corpo su Dio – è di per sé molto ampia, ha ricadute su moltissimi aspetti se presa nella sua globalità. Noi qui vogliamo dare un taglio particolare, quello della regolazione naturale della fertilità: cercheremo di capire perché è una possibile risposta per esprimere una “antropologia adeguata” e lo faremo a piccoli passi e in modo interattivo, perché ciascuna di noi possa davvero camminare. Sicuramente non sarà esaustivo, ma qui starà all’escursionista cercare altre strade che interessano di più, ma che portano allo stessa destinazione.
Tuttavia, come ogni sentiero che si rispetti, non abbiamo la fretta di arrivare alla fine, facciamo con calma la strada, guardiamo attorno il paesaggio che ci viene offerto e contempliamolo. Magari non ci sembrerà tanto bello all’inizio, magari ci saranno passaggi che ci annoieranno o ci faranno paura… Accogliamo tutto, perché solo dopo aver fatto tutta la strada potremo dire se ne è valsa la pena.