Settimana scorsa abbiamo introdotto le tre dimensioni battesimali. Oggi cercheremo di approfondire la prima. Siamo re con Gesù. Cosa significa?
L’appartenenza a Cristo ci dona due qualità molto importanti per vivere ed incarnare la regalità di Gesù nel nostro matrimonio: la dignità e la libertà. Per essere re, come Gesù è re, dobbiamo recuperare, custodire e sviluppare questi due valori: la nostra dignità e la nostra libertà. Solo così potremo accogliere il dono di Dio di essere re con Cristo. Cristo re ha una sola legge: la legge dell’amore.
Il re è capace di mostrare la bellezza di Dio e della sua Legge. Il re perdona non perché sia debole e non sia capace di imporsi e di lottare, ma perché il perdono è uno dei gesti che più di tutti rappresentano la sua regalità. Il perdono è colmo di libertà e di dignità. Per questo se mia moglie mi fa del male io resto re quando sono capace di perdonarla senza smettere di avere uno sguardo benedicente su di lei. Sono re quando riesco a non ridurla al suo errore. Perché sono libero da quel male che mi ha fatto. Perché sono degno nonostante ciò che lei può aver fatto o detto. Questo è un punto fondamentale. La mia regalità non viene da lei e dal suo riconoscimento, ma viene da Dio. Nessuna persona,neanche mia moglie o mio marito, può distruggerla. Questo significa essere davvero liberi e degni. La mia dignità viene da Dio e non da mia moglie o da mio marito. Attenzione! Riscoprire e riconoscere la nostra dignità e la nostra regalità non ci serve per innalzarci sopra gli altri. Non ci serve per sentirci migliori di nostra moglie e di nostro marito. Non ci serve per giudicare, per umiliare, per montare in superbia e sentire di meritare più di quell’uomo o quella donna che ci sta accanto. No! La consapevolezza del nostro valore, della nostra dignità, della nostra regalità ci consente di servire meglio quella persona che abbiamo sposato. Ci consente di liberare il nostro amore dall’obbligo della reciprocità! Sembra una bestemmia di questi tempi. Eppure è così!Il re e la regina sono capaci di amare anche quando l’altro non dà o non dà abbastanza. Vi riportiamo un aneddoto personale. Ero sposato con Luisa da circa tre anni. Avevamo avuto già Pietro e Tommaso. Erano molto piccoli ed erano nati a pochi mesi l’uno dall’altro. Mi sono sentito oppresso e inadeguato. Ero ancora giovane. Mi sono sposato che avevo 27 anni. Vedevo i miei amici continuare a fare la vita da ragazzi. Uscire la sera, divertirsi, calcetto, discorsi idioti. Insomma le cose che facevo anche io prima. Ho cominciato a sentire la casa e la famiglia come una prigione. Ho cominciato a stare spesso fuori casa, a trovarmi attività che mi impegnassero e a lasciare Luisa spesso da sola. Giocavo a calcio a cinque. Luisa non mi ha mai impedito di farlo. Beh mi sono trovato una seconda squadra per stare di più fuori casa. Quando ero in casa ero freddo e distaccato. Mi comportavo davvero male. Luisa non ha mai smesso di sostenermi. Aveva tutto il diritto di arrabbiarsi con me. Non lo ha fatto. Mi ha sempre fatto appoggiare a lei. Ha capito che in quel momento era lei la più forte dei due, era la regina, io non ero re, e non si è tirata mai indietro. Aveva capito che stavo attraversando il mio deserto. Sapete qual è uno dei gesti d’amore più belli che mi ricordo di aver ricevuto da mia moglie? Mi fece un caffè. Mi spiego meglio. La trattai male, come altre volte durante quel periodo di crisi, su una questione dove avevo anche torto. Litigammo come capita a tante coppie e poi con il muso lungo me ne andai in camera sbattendo la porta. Dieci minuti dopo arrivò lei, con il caffè in una mano mentre con l’altra girava il cucchiaino. Me lo porse con tenerezza e se ne andò. Quel gesto mi lasciò senza parole e mi fece sentire tutto il suo amore immeritato, un amore che se ne fregava dell’orgoglio e che se ne fregava di chi aveva ragione o torto. Con quel gesto mi mostrò tutta la sua bellezza e forza, facendomi sentire piccolo piccolo. Finì subito tutto in un abbraccio e quel gesto me lo porto ancora dentro tra i ricordi più preziosi. Lei è riuscita prima di me e meglio di me a non giudicarmi ma ad amarmi e basta. L’amore è questo ed è bellissimo. Quello è stato un momento di svolta. Da lì, con l’aiuto della mia sposa, sono riuscito ad uscire dal deserto. Lei aveva tutto il diritto di mandarmi a quel paese e di tirarmi la caffettiera in testa. Altro che prepararmi il caffè. Ma l’amore non ragiona così con la giustizia umana. Avrebbe avuto ragione ma non mi avrebbe “salvato”. Sarei rimasto quello di prima. Invece lei ha scelto di amarmi comunque. E qui arriva l’obiezione la sento. E ma così è andata contro la propria dignità. I nostri ragazzi direbbero che è stata una sottona. A volte è davvero così. In alcune relazioni tossiche si crea una forte dipendenza che non è amore. Dove sta la differenza tra una regina e una sottona? Nella consapevolezza del proprio valore. Se Luisa lo avesse fatto per paura di perdermi o perché incapace di affrontare un conflitto con me sarebbe stata davvero una sottona. Lei lo ha fatto nella sua libertà di figlia amata. Ha deciso di donarsi a me tenendo fede alla sua promessa matrimoniale (nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia) perché così stava rispondendo all’amore di Dio prima che al mio. E’ stata una vera regina e l’amore della regina mostra l’amore di Cristo. Io ho compreso il matrimonio quel giorno perché ho fatto esperienza dell’amore di Dio attraverso di lei. Ed io? Cosa ho imparato? Il matrimonio è stata una scuola anche per me. Piccole cose che mi fanno capire come quei doni battesimali vadano sviluppati nella relazione di tutti i giorni. Un’occasione nella quale mi sono sentito re e successa un po’ di tempo fa. Una domenica di alcuni mesi fa Luisa si è alzò di pessimo umore. Erano giorni che, poveretta, era costretta a svegliarsi prestissimo per correggere i compiti e preparare le lezioni. Durante il giorno abbiamo quattro figli da seguire e spesso non riesce. Quel giorno probabilmente si svegliò con tutto il peso delle cose da fare. Una casa poco curata e tante attività da approntare. Io collaboro, ma anche in due si fa fatica. Fatto sta che non le andava bene niente. Era nervosa. Non potevo mettere un po’ di musica che veniva ad abbassarla a livelli minimi e impercettibili. Perché? Perché la musica che mettevo faceva schifo. Poi questo non andava bene, quello andava fatto meglio. Insomma per lei era tutto un disastro. Anni fa avrei dato fuori. L’avrei mandata a quel paese. Quel giorno no, me ne stupii anche io. Grazie proprio al nostro matrimonio, non ho avuto l’impulso di arrabbiarmi e di sentirmi offeso e ingiustamente attaccato. Ho, invece, visto tutta la sua fragilità. Ho avvertito il suo momento di scoraggiamento. Momento in cui si sentiva inadeguata e impreparata a svolgere tutto nel modo migliore, o almeno accettabile. Si sentiva schiacciata sotto il peso del dover fare tante, troppe cose. Non mi sono arrabbiato. Ho compreso che in quel momento non serviva nessun discorso. Silenziosamente ho incassato tutte le critiche e ho cercato di fare quanto più potevo per sollevarla da qualche peso. Senza dire nulla. Nulla se non qualche battuta, giusto per alleggerire l’atmosfera. A mezzogiorno il miracolo. È tornata quella di sempre. Ci siamo abbracciati. Un abbraccio che è valso più di tante parole. Basta davvero poco per far sentire amata la propria sposa. Accoglierla sempre, anche quando non è amabile, anche quando è nervosa e all’apparenza chiusa. È proprio in quei momenti, quando non ti sta dando nulla, che desidera essere amata e accolta. Questo cosa mi ha fatto capire? Non devo essere dipendente dall’amore di mia moglie. Certo lei ha promesso di onorarmi ed amarmi. Questo è però il suo impegno, non il mio. Non è la stessa cosa. Cambia prospettiva. Non mi concentro su ciò che fa o non fa lei, ma su quello che faccio o non faccio io. Io ho promesso di servire. Non mi sono sposato per essere servito, ma per servire. Non ci si sposa per essere amati, ma per amare. Capite bene che se non ci si sposa con questa convinzione il matrimonio sarà un sicuro fallimento. La mia sposa non sarà mai all’altezza di riempire in pienezza quel desiderio di amore infinito che ho dentro. Non può farlo. Non posso metterle sulle spalle questo peso che non può portare. Non può una creatura finita, imperfetta e mortale riempire un desiderio di infinito. Anche solo per il fatto che muore. Invece dove posso trovare l’infinito? Lo posso trovare nel farmi servo per amore della mia sposa. Lo posso trovare nel dono. Solo dando tutto posso trovare l’infinito che è Dio. Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Lei non è il mio tutto, ma con lei, attraverso la nostra relazione, posso arrivare al tutto. Più sono riuscito a staccarmi dal bisogno del suo amore e più sono stato capace di amarla.
Questo argomento Antonio e Luisa lo trattano approfonditamente in questo libro Sposi, re nell’amore. Tessitori di comunione.
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Se ti sei perso l’articolo introduttivo, il matrimonio sacramento nasce dal Battesimo, clicca qui.
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Siamo profeti quando mostriamo come Dio ama.
Siamo sacerdoti quando sappiamo offrirci all’altro.