Negli ultimi anni, in riferimento alla crisi educativa che tutti abbiamo sotto occhi, ci siamo più volte interrogati.
Che cosa è successo?
Perché questi ragazzi si trovano spaesati, senza guida, travolti dall’incertezza?
Una delle tematiche più frequenti è proprio quella sulla figura paterna.
Basta digitare su Google le due parole “figura paterna” per ritrovarsi inondati di articoli che ci parlano di questa crisi che, inevitabilmente, travolge tutta la famiglia.
In questo mese e in questo anno Giuseppino, che cosa ci può raccontare il “padre terreno” più importante della storia umana?
Giuseppe viene descritto poco o niente all’interno della Sacra Scrittura.
Una figura quasi ai margini di un racconto, ma è veramente un personaggio secondario?
Se riflettiamo sull’infanzia di Gesù, ci rendiamo conto di quanto lui fosse presente.
Una presenza silenziosa, ma fondamentale.
Una presenza che ci parla di nascondimento, a tal punto di portarci nei sogni… sogni ricchi di importanti rivelazioni.
Giuseppe è colui che si è fatto carico di questa grande storia, una storia che appartiene a ciascuno di noi.
Ha preso sulle sue spalle tutta la responsabilità di un bambino che avrebbe salvato il mondo intero.
Ha creduto talmente tanto da fidarsi e da lasciarsi guidare, in scelte profonde, nella semplicità del sonno.
Come a dirci: abbracciare la Volontà di Dio è un atto semplice, di abbandono totale.
Veramente tutti noi abbiamo da imparare da questa meravigliosa presenza.
Una presenza umile, silenziosa, ma decisiva. Che porta con forza un peso enorme: porta il fanciullo che gli è stato affidato, Gesù, alla vita adulta.
Le mamme ti tengono attaccato al cuore.
I padri ti dicono che là fuori ce la puoi fare.
Ti donano il coraggio dell’essere in grado.
Quel coraggio che è rappresentato dal tenere con sé Maria.
Quel coraggio che ha manifestato nella fuga in Egitto.
Quel coraggio di intravedere in quel figlio un mistero enorme e di spronarlo a realizzarlo.
Se ci mettessimo alla scuola di San Giuseppe capiremmo che non serve fare tanto rumore.
Non servono parole complesse, discorsi incredibili.
Basta abbracciare la propria vocazione e lasciarsi guidare dallo Spirito Santo.
Il mio papà di secondo nome fa Giuseppe.
Io lo guardo: per anni è rimasto silenzioso.
Ancora oggi parla se interrogato, se richiesto.
Nonostante questo suo “mettersi da parte”, dentro di me ho la certezza che lui è e sarà sempre lì, pronto ad agire e a darmi una mano.
A dirmi che, anche questa volta, come le altre, ce la farò, ce la faremo.
A raccontarmi, con il suo agire, che la vita è quel luogo dove tutto è complesso, mille cose da affrontare, complicate, difficili, ma anche quel luogo dove tutto passa e dove solo l’amore resta.
Una presenza costante, discreta, ma incisa e importante.
In lui intravedo quel papà di Gesù.
Quel papà che, se fosse interrogato dai nostri padri e sposi, indicherebbe una via da percorrere.
Una via che non può che essere percorsa tenendo per mano quel Gesù che da bambino diviene fanciullo, uomo, Salvatore.
Quel Gesù che ci mostra ciò che siamo chiamati a fare, quotidianamente.
Preghiamo affinché questa crisi della figura paterna possa diventare rinascita, alla luce di uno dei santi più forti della storia.
Accompagnaci San Giuseppe, prendici per mano!