Dal Vangelo secondo Matteo“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». (Mt 7,24-27)
Me ne sto qui assorta nei ricordi e rivedo la scena del giorno in cui, con il mio fidanzato Antonio e l’amico sacerdote Padre Mauro, si era seduti sul divano, in una sera di fine di settembre eravamo passati a casa, in quella che di lì a qualche giorno sarebbe diventata la nostra casa. Tra una parola ed un’altra arrivò la domanda: allora il vangelo per il matrimonio, lo avete scelto?
Era da tempo che ci pensavo e nel cuore avevo le parole delle Beatitudini di Gesù, ma quella volta mio marito mi spiazzò, lui che sempre parla poco, di getto rispose: la casa sulla roccia! Mi sembra più che adeguato… proseguì, ed io anche se un po’ a malincuore accettai. Ma l’amico sacerdote si accorse del mio sguardo e me ne chiese il motivo, risposi: pensavo alle beatitudini…. ma va bene così. Perché racconto questo aneddoto? Perché con il tempo mi sono resa conto che non si poteva scegliere Vangelo più profetico di quello, almeno leggendo i fatti a ritroso, trovo che lo sia. Nel corso nei nostri 31 anni di matrimonio (19 ottobre p.v.) sono spesso riandata a quel vangelo, a quelle parole che ora mi porto nel cuore e che ho ricompreso alla luce dei fatti che ci sono accaduti. Antonio è stato uno strumento stupendo nelle mani di un Altro. Non vorrei tediarvi, ma la vita matrimoniale è stata un’altalenante affidarsi e fidarsi, non solo l’uno dell’altra, ma sopratutto nei confronti di questo Padre che ci aveva guardato con misericordia e benedetto insieme: per una vita da vivere in comunione perché fossimo una cosa sola.
Così alle prime avvisaglie di vento impetuoso: ma vale proprio la pena vivere così? Per cui uno si domanda: ho lasciato tutto per chi, per cosa? Al vaneggiare di parole che come sabbia facevano scivolare l’amore fuori dalla porta del cuore, per cui uno è capace di dire “non ti amo più” allo straripare dei fiumi, per cui una prende la valigia e dice “faccio meglio da sola…” All’abbattere di accuse reciproche che come asce, macigni, sono schiantate sulla nostra casa e murato i nostri cuori mentre si firmava per la separazione… per cui uno pensa: che inganno questo uomo, che inganno questa donna! Che inganno Dio! Ecco, quando sei proprio lì nel buio della cantina dell’anima, ci sta che possa accadere, per Grazia, di far memoria delle parole del tuo amico sacerdote: l’augurio è che sappiate costruire la vostra casa sulla sua parola e non sulle vostre, fondate la vostra vita a due sull’unico amore: il suo! Una parola che si fa largo in una voragine senza fondo, del cuore di entrambi! Cominci così piano piano a togliere di mezzo i detriti; all’inizio, lui da una parte, te dall’altra, per arrivare a guardarsi di nuovo con gli occhi del primo incontro. La fatica c’è stata e c’è ancora perché l’errore, a volte, è pensare di sapere già tutto: di te, di lui, della famiglia. Accorgersi che, invece, siamo tutti in un divenire che ha bisogno di tempo, di ascolto e di cura. Oggi per Grazia siamo quello che siamo: una famiglia che è rinata dalle macerie, dopo lo tzunami, la ricostruzione! Non più sul già saputo, ma in un dirsi e darsi che sa di mani e piedi sporchi di fango, di parole di perdono e di speranza per entrambi, di una beatitudine che si incarna nel quotidiano, per cui quei beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace, beati i miti, si fanno incontro a noi ogni giorno come pietre da usare per ricostruire la casa. Così come la vuole Lui dove incontrarci e dimorare nella pace e nella concordia, in una continua riscoperta l’uno dell’altra. Certo se guardo indietro più che i nostri errori, di cui ho e abbiamo piena consapevolezza, c’è lo sguardo di chi sa leggere l’opera dell’architetto che, in maniera misericordiosa, ha saputo prendersi cura di noi e ricostruire laddove noi avevamo fallito. Ora più che sulle nostre parole si sta ascoltando la sua, si sta costruendo nell’intimità della sua Parola che prende forma nel fare quotidiano, nella pazienza, in una carezza. La parola o il silenzio dell’attesa, e nella memoria che senza di lui non possiamo far nulla. Accorgendosi così di quanto sia vero che l’amore è più forte della morte, che le acque non possono travolgerlo né spegnerlo. L’avventura matrimoniale, per Grazia, non è terminata abbiamo ancora giorni davanti a noi per dirci il miracolo di una vita insieme. A mia figlia Maria Beatrice che tra qualche giorno dirà il suo Si davanti a Dio con il suo Mattia, e a tutti i giovani che si apprestano a vivere questa avventura di amore a perdere, di coraggio e spregiudicatezza (vivere in due guardando a uno crocifisso è davvero da spregiudicati o no?!), in un rincorrersi e riprendersi nella sua misericordia, in questo attendersi e andare oltre i limiti, l’augurio è di guardare sempre a Uno che ci ha mostrato la via da percorrere e in cui incamminarci, in lui nulla potrà far crollare la casa, lui che si è donato a noi e ci ha amato fino alla fine, non mente: si può amare così!
Carla