Con estremo piacere vi proponiamo il primo articolo scritto a quattro mani da Cecilia Galatolo e Franco Olearo. Nuovi spunti cinematografici che ci aiuteranno a vivere in serenità queste prime serate primaverili.
Sul tema dell’educazione si possono trovare dei film bellissimi: il saggio ne presenta alcuni, disponibili in streaming su Internet. Noi vi proponiamo questi due.
IL RAGAZZO CHE CATTURO’ IL VENTO (2019)
Il film è un ottimo spunto di riflessione da fare con figli e studenti per ricordare loro quanto sia importante lo studio per comprendere in profondità il contesto in cui potenziare le proprie capacità. Viene inoltre presentato un modello di famiglia esemplare dove ognuno, con sensibilità diverse e nell’ambito del proprio ruolo, contribuisce al bene di tutti. Il padre di famiglia, profondamente buono e onesto, non si lamenta per le calamità che colpiscono la famiglia ma ripone la sua fiducia nella Provvidenza divina. Alla fine è determinante la frase detta dal vero William che si legge nei titoli di coda:
Dio è come il vento che tocca ogni cosa.
FREEDOM WRITERS (2007)
Dopo i disordini del 1992 avvenuti a Los Angeles, era stato istituito un programma di integrazione razziale presso la Woodrow Wilson High School di Long Beach, con non poco malumore degli insegnanti che temevano che questa iniziativa avrebbe rovinato il livello accademico del liceo. Erin Gruwell, una giovane insegnante con poca esperienza, ispirata dagli ideali del padre che si era battuto per i diritti civili delle minoranze, chiede di poter insegnare proprio alla Wilson. Ma Erin non tarda a capire quanto sia arduo il suo compito. I ragazzi e le ragazze del liceo Wilson vanno a scuola perché ci debbono andare, per evitare di finire in qualche riformatorio. Ognuno di loro è legato a una gang per ragioni etniche (latinoamericani, cambogiani, afroamericani) o di parentela. Si tratta di un meccanismo infernale che li costringe ad attuare automaticamente una vendetta quando uno della propria gang viene ferito o ucciso tanto che la maggior parte di loro sa usare la pistola. La polizia adotta con loro sempre metodi brutali e commette spesso delle ingiustizie. Dalla scuola non si aspettano niente: gli insegnanti sono per lo più dei bianchi che li disprezzano e i ragazzi ricambiano con un’assoluta indifferenza; debbono solo aspettare che suoni la campanella di fine lezione. In questo contesto Erin prova a fare la simpatica, mostra loro di conoscere gli ultimi rapper, ma non serve a niente. Comprende che deve immergersi nel loro mondo, capire come si sentono. Compra per ognuno di loro un quaderno e li invita scrivere tutto ciò che desiderano riguardo a loro stessi. E’ una prima presa di coscienza di se stessi e del mondo che li circonda, una forma di seduta terapeutica privata dove possono iniziare a mettere in ordine le emozioni, moti spesso incontrollati del loro animo. Come fonte di ispirazione, Erin invita tutti a leggere il Diario di Anna Frank, un’altra adolescente che è vissuta in un contesto di violenza e ne è rimasta vittima. Da questa prima presa di coscienza individuale, Erin passa a quella di gruppo. Li porta a visitare il Simon Wiesenthal Center (il museo dell’Olocausto di Los Angeles) dove le tante storie di ragazzi uccisi dal fanatismo nazista li porta a sentirsi accomunati da uno stesso destino di violenza. Si tratta di iniziative altamente meritevoli ma non basta la ragione per effettuare una radicale trasformazione della propria visione della vita: bisogna anche sentirsi amati. Ed è quello che ora loro sentono da parte di Erin, per il modo con cui lei si è prodigata per loro, superando anche l’ostilità dell’amministrazione scolastica. Ormai l’intesa dei ragazzi fra di loro e con la professoressa è raggiunta.
Quest’aula è il nostro posto. Qui tutti stanno bene con tutti. Questo è l’unico posto dove noi siamo veramente noi stessi
è la dichiarazione appassionata di una delle sue alunne.
Freedom Writers merita pienamente il titolo di “edificante”. Ragazzi “imprigionati” nelle logiche violente dei loro clan ricevono la speranza di cambiar vita, di realizzare se stessi non perché il contesto esterno a loro è cambiato ma perché sono stati aiutati a trovare in loro stessi la forza per il cambiamento. Ancora una volta appare chiaro che per ottenere questa trasformazione non è sufficiente una buona educazione ma occorre trasmettere quell’amore che fa dire: “tu per me vali”.