Sto guidando la mia vecchia, grigia (perchè sporca), sgangherata Ka. Sto guidando e al mio fianco c’è mia nonna: la sto riportando a casa da una delle tremillemila visite per il suo corpo ottantenne, acciaccato come la mia Ka. Anzi, la sua Ka.
Me l’aveva regalata mio nonno otto anni fa, prima di morire, quando a malincuore aveva dovuto rinunciare alla sua patente a causa della vecchiaia. Quella Ka e quella patente per lui erano tutto, un tesoro immenso. Lui che ha vissuto tutto il secolo scorso e che per spostarsi usava la bicicletta.
E mia nonna questo lo sa. Sa la cura che ha impiegato mio nonno per scegliere ogni minimo dettaglio. L’aveva presa full optional: radio e alza-vetri automatico! Io ero piccola, ma ricordo ancora la fierezza di quando era arrivata. E l’orgoglio con cui me l’ha regalata: mi ha permesso di risparmiare visto che testardamente volevo sposarmi mentre ancora dovevo finire l’università.
Però a dir la verità, se la guardi questa macchina è un po’ bruttina. Un sedile rotto. La radio non prende mai, e ha ancora il mangianastri. Consuma benzina come se non ci fosse un domani e lo specchietto retrovisore l’ho attaccato io con la colla a caldo. Mio marito non vede l’ora che si rompa per comprarne una nuova.
E’ per questo che non credo alle mie orecchie mentre sento mia nonna al mio fianco dire: “E’ proprio una bella macchinetta, questa! Tuo nonno ti ha fatto proprio un bel regalo!”.
Una bella macchinetta, ma come? Lo è stata, certo! Non lo metto in dubbio.. ma ora?!
E poi sorrido fra me e me, e penso a quanto si sono amati quei due, se sono riusciti ad amare una macchina del genere! Si sono sposati il 29 dicembre perché d’inverno non si doveva lavorare nei campi, ma mia nonna mi racconta sempre di come il giorno dopo, da subito, ha dovuto accudire tutti i fratelli di mio nonno.
Ecco. Se penso a cosa sia l’amore, penso all’amore ai tempi di mia nonna. Di quando non c’era la legge sulla separazione, sul divorzio, sull’aborto. E gli uomini e le donne si sentivano liberi lo stesso di litigare e di rifare la pace. Si sentivano liberi di amarsi nonostante gli acciacchi e di godere di ogni piccolo dono. E di vederlo straordinariamente meraviglioso.
E non credo questa sia semplice retorica, ma pura verità.
Dobbiamo riconoscere nei nostri nonni la capacità di guardarsi con occhi semplici, ma per questo più autentici. Di guardarsi con occhi pieni di difetti, e di non accorgersene. Di aver maturato la capacità di resistere negli anni e di non mettere mai in dubbio la propria unione.
E Dio non ci ha insegnato che e’ proprio questo il vero Amore?
Sapersi dare e sapersi accogliere. Saper donare la propria vita e saper morire ogni giorno. Ma morire accettandola, la morte. Morte che si nasconde nelle brutture, nelle mancanze, negli acciacchi che si fanno giorno dopo giorno più evidenti.
Grazie nonno e grazie nonna. Questo mi avete insegnato con la vostra vita.
E scusate se è poco!