Ci sono due immagini che mi vengono in mente prepotentemente tutte le volte che penso al Sacramento della Confessione: la prima è il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt e la seconda la figura di Pietro.
In entrambi i casi è la storia di un abbraccio.
Questo pensiero mi dà molta pace perché c’è qualcuno che, nonostante tutto ciò che io possa aver fatto, è lì che mi aspetta con le braccia aperte, pronto a raccogliermi in un rapporto con lui.
Eppure forse questo è il sacramento che facciamo più fatica a ricevere: è un dono che pur desiderato provoca in noi qualche reticenza. Forse è difficile ammettere di aver sbagliato e ancor di più è difficile andare a raccontare a qualcuno le nostre pecche. Non so se capita anche a voi di sentire questo contrasto fra un desiderio di confessione e una paura.
Da cosa nasce questo desiderio? Ce lo dice il Catechismo della Chiesa Cattolica all’articolo 1428:
[…]è il dinamismo del cuore contrito attirato e mosso dalla grazia a rispondere all’amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo.
Cioè è l’esperienza di un amore grande che ci richiama a sé.
Ancora nell’articolo 1432:
E’ scoprendo la grandezza dell’amore di Dio che il nostro cuore viene scosso dall’orrore e dal peso del peccato e comincia a temere di offendere Dio con il peccato e di essere separato da lui. Il cuore umano si converte guardando a colui che è stato trafitto dai nostri peccati.
E’ quindi una conversione a Cristo come del resto siamo abituati a sentire nella parabola del figliol prodigo. Il fascino di una libertà illusoria, l’abbandono della casa paterna, la miseria estrema, l’umiliazione la riflessione dei beni perduti, il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti al padre, il cammino per la strada del ritorno ma la cosa che più colpisce in tutta questa storia è sicuramente l’accoglienza generosa da parte del padre.
E’ l’esperienza che facciamo anche noi, attratti da qualcosa che ci fa sembrare più liberi, lasciamo un rapporto sicuro per provare la miseria e il desiderio di ritornare a lui.
La novità dei capitoli di questi articoli che ho letto sul Sacramento della Penitenza e della riconciliazione è per me la dimensione comunitaria, un aspetto a cui non avevo mai pensato.
In effetti il mio peccato non solo offende Dio, ma attenta anche alla comunione della Chiesa:
La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilità e, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.
CCC, 1455
Pensando a tutte queste dinamiche che ci vengono così bene spiegate, ho riflettuto su quanto per noi sia difficile il sacramento della confessione e quanto invece alcuni santi la praticassero quotidianamente. In effetti è una raccomandazione della Chiesa, perché la confessione quotidiana aiuta a formare la nostra coscienza, aiuta anche a lottare contro le cattive inclinazioni, aiuta a lasciarci guarire e quindi sperimentare questo balsamo sulla nostra vita e aiuta a progredire nella vita dello spirito.
Avete letto il commento agli articoli 1322-1419 del Catechismo della Chiesa Cattolica.