Perdono… questo grande mistero!
La stessa parola ci indica la sua natura.
Per-dono semplicemente lo riceviamo e per-dono semplicemente lo offriamo.
Ma nella concretezza, è veramente così semplice?
Innanzitutto perdonate non significa dimenticare.
Papa Francesco nella sua Enciclica Fratelli Tutti ce lo spiega chiaramente al numero 250.
Il perdono non implica il dimenticare. Diciamo piuttosto che quando c’è qualcosa che in nessun modo può essere negato, relativizzato o dissimulato, tuttavia, possiamo perdonare. Quando c’è qualcosa che mai dev’essere tollerato, giustificato o scusato, tuttavia, possiamo perdonare. Quando c’è qualcosa che per nessuna ragione dobbiamo permetterci di dimenticare, tuttavia, possiamo perdonare. Il perdono libero e sincero è una grandezza che riflette l’immensità del perdono divino. Se il perdono è gratuito, allora si può perdonare anche a chi stenta a pentirsi ed è incapace di chiedere perdono.
Il perdono non cancella la ferita, anzi, quella cicatrice resterà lì per sempre.
La guarderemo: ogni tanto ci farà ancora male, ogni tanto ci ricorderà quel dolore, ci metterà di fronte al cammino che abbiamo dovuto affrontare per non farla sanguinare più così poderosamente, come all’inizio.
Infatti Papa Francesco al numero 251 continua:
Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi. Infatti, la vendetta non sazia mai veramente l’insoddisfazione delle vittime. Ci sono crimini così orrendi e crudeli, che far soffrire chi li ha commessi non serve per sentire che si è riparato il delitto; e nemmeno basterebbe uccidere il criminale, né si potrebbero trovare torture equiparabili a ciò che ha potuto soffrire la vittima. La vendetta non risolve nulla.
A questo punto potremmo dire: sì abbiamo compreso, ma queste parole sono faticose… quasi impossibili…
Come possono essere vissute nella concretezza?
Tutto questo eroismo è solo per alcune persone, Santi specialissimi votati al martirio interiore?
“La crepa e la luce” è un libro che racconta un cammino.
Quello che Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ha percorso dal giorno dell’omicidio del marito, cinquant’anni fa.
Una strada tortuosa che, partendo dall’umano desiderio di vendetta di una ragazza di 25 anni con due bambini piccoli e un terzo in arrivo, l’ha condotta, non senza fatica, al crescere i suoi figli lontani da ogni tentazione di rancore e rabbia e all’abbracciare, nel tempo e con sempre più determinazione, l’idea del perdono.
Un’intensa e sincera testimonianza sul senso della giustizia e della memoria.
Una storia di amore e pace.
Proprio come la luce ha bisogno di uno spiraglio per passare, di una crepa, così il perdono per essere donato ha bisogno di “passare attraverso”.
Attraverso il cuore ferito, la fatica e il dolore quotidiano, l’amore e la semplicità di piccoli atti d’amore.
Gesti che si ancorano a quell’incontro personale con Colui che solo può amare senza limiti e condizioni.
Colui che ha donato la sua vita anche per i suoi persecutori, il solo che ci prende per mano ed è, lui stesso, via da percorrere.
Possiamo dire che Gemma Calabresi Milite è una di noi, una sorella maggiore nella fede.
Per-dono è stata liberata dall’ovvietà dell’odio e per-dono ha reso la sua vita testimonianza concreta per ciascuno.
Grazie Gemma!