…adesso tocca a te!
Siamo ormai giunti agli ultimi due passaggi del nostro percorso sulla Teologia del Corpo di S. Giovanni Paolo II.
Fino a questo punto abbiamo camminato insieme, abbiamo condiviso un bel pezzo di strada, dato spunti di riflessione, nuove idee e prospettive per alcuni, per altri magari un riprendere in mano concetti ed esperienze già acquisiti…
In questa ultima tappa che ci vede ancora insieme mi piacerebbe poter fare delle considerazioni finali che riguardino il nostro modo di essere coppia, oppure il nostro modo di testimoniare la bellezza di essere distinti in maschi e femmine. Non voglio però dare indicazioni generiche o fare la morale dall’alto di chissà quale competenza… Io non sono nessuno per fare questo, anzi io stessa per prima mi ritrovo a combattere contro le mie paranoie, i miei evidenti limiti, la mia incostanza e la mia estrema pigrizia a qualsiasi cambiamento (…figuriamoci poi quello ormonale!).
La “nostra” coppia
Non so se è mai capitato anche a voi di incontrare coppie che – seppur nella loro vita sgangherata e incasinata come quella di ciascuno di noi – sembrano essere una fonte inesauribile di pienezza, di saggezza, di complicità coniugale, di pazienza a rimanere ad ascoltare le tue paturnie, di una spiritualità così profonda che nemmeno gli abissi reggono il confronto. Sono tante le domande che emergono, confrontandosi con queste coppie: come fanno ad essere così uniti? Come possono dare così tanto quando le difficoltà li circondano? Dove trovano questa fiducia così incrollabile verso la Provvidenza?
Ecco, io non andrei a cercare tanti nomi illustri e testimoni esemplari, mi basta fermare lo sguardo su queste coppie concrete per intuire, da una parte, quanto lavoro ho da fare su di me come donna e su di noi come coppia, e, dall’altra, quanto invece la Grazia ci abbia toccati tanto da avere delle indicazioni, dei cartelli stradali ben chiari su quale sia la nostra Meta.
Mio marito ed io ci siamo interrogati diverse volte su questo fatto e la risposta che ci siamo dati è che nella nostra formazione abbiamo ricevuto tanto e siamo stati (per quanto possibile) un terreno in attesa di essere fecondato. Ora ci ritroviamo ad avere dei piccoli frutti in mano ed è quindi arrivato il nostro tempo di dare, di rischiare nelle relazioni e di lasciarci trasformare dall’incontro con l’altro, pur avendo continuamente bisogno di abbeverarci alla Fonte buona.
Detta così sembra che siamo diventati dei missionari in cerca di proseliti… in realtà le cose sono molto più piccole e molto più ridimensionate. Il primo luogo in cui stiamo combattendo la nostra battaglia è proprio la nostra coppia: appena sposati, 11 anni fa, ci sentivamo gli “arrivati”, quelli che avevano capito tutto, quelli che avevano fatto bene ogni cosa… oggi ci ritroviamo invece ammaccati, scheggiati, con-formati l’uno all’altra, consapevoli che abbiamo appena fatto i primi passi per la nostra unità. Il primo luogo in cui stiamo andando incontro all’altro, il primo luogo di evangelizzazione siamo proprio noi. E ciò ha scaturito, come a cascata, una prossimità più intima, più veritiera, senza fronzoli nei confronti di altre coppie, di altre famiglie, di singole persone.
Tentare di guardarci secondo la prospettiva della Teologia del Corpo ha fatto nascere un’intesa tra noi e tra altre coppie che mai avremmo pensato, ci ha affinato la vista per poter vedere subito dove sta una ferita, per meravigliarsi di una gioia, per avvistare un pericolo.
Contemplare i nostri corpi nell’intimità, come ammirare le proprie distinzioni – femminili e maschili – nei piccoli gesti quotidiani ci ha resi decisamente più umani, più propensi ad accogliere questa innata diversità; al contempo ci ha fatto avvicinare di più al nostro Creatore, a ringraziarLo per quanto siamo e per quanto possiamo essere.
Giovanni Paolo II scrive nelle sue catechesi che “il dono del rispetto di ciò che è sacro” porta gli sposi ad una “sensibilità piena di venerazione per i valori essenziali dell’unione coniugale” (tob 131,4-5). L’unione dovrebbe esprimere “venerazione alla maestà del Creatore e […] l’amore sponsale del Redentore” (tob 132,4). Egli continua le sue riflessioni dicendo che il corpo “è profeta”: profeta è colui che esprime con parole umane verità provenienti da Dio, ciò significa che il nostro corpo, ogni corpo, ha la possibilità di parlare di Dio. La coppia è il luogo per eccellenza in cui il corpo può esprimersi in tutta la sua bellezza, e perciò ciascuna delle nostre coppie può essere profeta anche solo stando insieme, manifestando quindi la fedeltà reciproca come Dio col suo popolo. Ma come può esprimere verità, altrettanto può dire menzogne… siamo capaci di ascoltare nella verità i nostri corpi e quindi di manifestarla? Questo interrogativo per me è perenne e persistente, perché sempre trovo imperfezioni, trovo errori e cadute nella ricerca e comprensione di me e della nostra coppia; è un lavoro paziente che costa fatica, ma la possibilità di contemplare davvero il sogno di Dio sulla coppia è un traguardo che mi sprona continuamente.
Con il cuore in mano ho scelto di condividere una parte delle nostre riflessioni, consapevole che davvero tutti siamo chiamati alla santità, ovvero alla possibilità di vivere pienamente secondo la volontà di Dio per noi. La Teologia del Corpo fa questo: apre una porta per camminare verso la santità e noi possiamo dimostrare che anche pieni di sbucciature, ammaccamenti e cicatrici siamo degni della vita in Cristo. Questa è la migliore testimonianza che possiamo dare, la migliore prova che la redenzione passa attraverso i nostri corpi e ci trasforma fino alle nostre intimità più profonde.
Ora tocca a voi…buon viaggio!