Maria, discepola della Parola
I ricordi circa la mia scoperta della figura di Maria sono molto vaghi. Se ripenso alla mia fanciullezza, sono certa di averla sempre vista eterea, impalpabile, e pregandola non l’ho mai pensata come persona concreta, quindi donna, moglie e … discepola, ma sempre e solo come colei che era stata la madre di Gesù, per cui tanto fortunata, trovandomi quindi a dire, come la donna del vangelo: beata lei che è stata la madre di Gesù (cfr. Lc 11,27).
Maria era dunque colei alla quale, da brava bambina, chiedevo di farmi essere più buona e più ubbidiente per far contenti mamma e papà, ma poi, niente di più. Crescendo imparai che c’era altro e che Maria aveva poco della figura evanescente in cui l’avevo relegata. Ricordo ancora quando per la prima volta andai a visitare la basilica di San Pietro, rimanendo sconcertata davanti alla pietà di Michelangelo: quella donna non aveva nulla di etereo, quella donna che aveva su di sé il corpo del figlio morto diceva molto di più, parlava di un mistero che era piantato li di fronte a me, pareva davvero che quel Cristo, scolpito in quel pezzo di marmo, accasciato nelle braccia di sua madre, mostrasse al mondo cosa avesse significato essersi fatto carico dei peccati del mondo: li portava su di se visibilmente.
Maria era li, da una parte a reggerlo e dall’altra, con la mano aperta e protesa, a dire: «Guardate mio figlio, guardate l’amore!». Un amore senza fine di cui lei era stata oggetto per prima, ma che sulla croce si è esteso a tutti gli uomini e che adesso guardava me: quell’amore infinito, per grazia, era anche per me.
Ciò che seguirà sarà quindi il ripercorrere a ritroso una vita, quella di Maria, che avendo incontrato la Parola si lasciò plasmare, o meglio, lasciò che lo Spirito Santo generasse in lei il figlio di Dio, per poter non solo essere madre, ma anche figlia e quindi discepola di quel Dio che decise un giorno di incarnarsi in lei. Ho scoperto nel tempo che Dio vuole continuamente farsi carne in ciascuno di noi, perché ciò che conta per Lui non è la parentela fisica con Gesù, ma l’ascolto, quindi l’accoglienza della sua Parola e il suo metterla in pratica.
Per cui, tanto per aggiustare il tiro rispetto a quello che era stato il mio primo pensiero su Maria e di cui ho scritto sopra, sono “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28) e in questo, con buona pace di tutti gli animi, ognuno di noi ci deve fare i conti.
“e una spada ti trafiggerà l’anima” (Lc 2,35b)
A Maria era stato predetto che una spada le avrebbe trafitto l’anima, ma questo dolore non riguardava solo il fatto di vedere morire il proprio figlio, quanto anche il dolore di chi lasciatosi penetrare dalla Parola porta a galla i pensieri del proprio cuore (cfr. Lc 2,35) con cui fare i conti ogni giorno. Maria è dunque discepola della Parola che in lei si è fatta carne e a cui lei, nella sua vita, ha continuamente dato ascolto, comprendendo fin dentro le viscere cosa significasse la fatica di aderire e di seguire il Signore fin sotto la croce, continuando quindi a dire Sì alla volontà di un Altro e di cui lei ha imparato a far memoria ogni giorno.
Se riprendiamo alcuni brani del vangelo vediamo come fin da subito ha dovuto fare i conti con un figlio che aveva altro a cui pensare e da realizzare (Lc 2,41-52; Gv 2, 1-11; Mc 3,31-35). Ma la sua risposta è sempre stata uno “stare” in quelle circostanze, piantata nella Parola, che in lei aveva ormai preso dimora e che non l’avrebbe mai più lasciata, neanche sotto la croce. Il suo stare non è solo un fare presenza, come spesso può capitare a noi, per cui si sta davanti alle circostanze senza la consapevolezza di ciò che ci sta accadendo. In lei infatti si sono concretizzate le parole che Gesù stesso aveva detto a chi lo ascoltava: «dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Il suo tesoro è li sulla croce, suo figlio pende dal legno e lei certo non poteva essere altrove, il suo cuore era quindi piantato insieme a suo figlio, non poteva non patire con lui, così come non potrà non condividere lo stesso amore che suo figlio ha avuto nei confronti di ogni uomo.
Ogni giorno nella sua vita avrà sicuramente ripensato a quanto l’anziano Simeone le aveva detto, lasciando così che quella spada la trafiggesse per l’ennesima volta, perché ormai ha imparato seguendo suo Figlio, che gli eventi per quanto dolorosi, drammatici vanno accolti come una sfida per far trionfare sempre l’amore che, a volte, va fino al dono della propria vita, al rinnegamento di se stessi.
Maria, ai piedi della croce mostra quindi il lungo cammino di sequela dietro a suo Figlio. Il suo “Eccomi” iniziale, risulta avere ora un suo peso specifico e che posto alla base di una bontà di vita quotidiana, è capace di rimanere fedele a Dio in ogni circostanza. Un cammino iniziato molto tempo prima quando qualcuno la pensò e quindi la chiamò a diventare la madre del salvatore e in lui madre di ciascuno di noi.
“Ecco la serva del Signore: avvenga in me secondo la tua parola” (Lc 1,38)
Maria dunque dice Sì ad un progetto sicuramente non chiaro per lei, ma per chi lo sarebbe stato?! I dipinti ritraggono Maria nel suo quotidiano ascolto della Parola: legge, medita, prega.
All’interno della sua giornata si ritaglia un tempo per sé e per il suo Signore, semplicemente per stare insieme. Da sempre ha vissuto in ascolto della Parola ed è lì che viene incontrata. Al suo Sì segue l’adombrarsi dello Spirito su di lei, lo stesso che aleggiava sulle acque all’inizio della creazione (Gen 1,1) e che ora, in lei, sta generando una nuova creatura: un uomo nuovo che crescerà e nascerà dal suo seno: Gesù. Alcune raffigurazioni mostrano Maria già visibilmente incinta, come a voler sottolineare come l’ascolto della Parola, una volta accolta, già modifichi la vita di chi l’accoglie, di come cioè sia da subito feconda.
È sconvolgente come ciò che accade ad una donna incinta sia in analogia simile a ciò che accade al discepolo che segue Gesù e che si mette quindi in ascolto della sua Parola. Siamo di fronte dunque a una fecondità che viene dall’alto, che non ha nulla di umano, una maternità che si fa strada in noi, che ci avvolge, e che ci fa rimanere incinte “per opera dello Spirito Santo”, proprio come Maria. Lei donna vergine che “non conobbe uomo”, noi uomini e donne del nostro tempo, spesso avulsi in vite che hanno ben poco del verginale e della fecondità. Accade quindi che una volta “in attesa”, il nostro corpo cominci a modificarsi per far spazio alla nuova creatura, i fianchi si allargano, i seni si ingrossano, tutto si prepara per la crescita e la nascita della nuova creatura. Analogamente cosi accade con la Parola, che una volta presa dimora dentro di noi, comincia a modificare il nostro modo di pensare, di parlare, di agire. All’inizio sembra strano, è come se questa Presenza prendesse possesso e si allargasse dentro di noi, quasi un corpo estraneo. Certo c’è sempre la possibilità di un rifiuto, ma questo sappiamo cosa comporta: significa far morire una vita.
Nella normalità, la donna che è in attesa, prosegue il suo viaggio lavorando, svolgendo ogni forma di attività. Nello stesso modo come Maria che accolta la Parola, prontamente si mette in viaggio verso sua cugina Elisabetta, incinta anche lei. La Parola accolta, infatti, non fa mai chiudere in se stessi ma sempre, proprio perché feconda di suo, apre all’altro, all’incontro e al servizio.
Può però succedere di soffrire di qualche disturbo, che potremo riscontrare anche nell’accoglienza della Parola, perché come detto prima: la Parola non scherza e ci dobbiamo fare i conti tutte le volte che agiamo in maniera diversa rispetto a ciò che abbiamo ascoltato. Nel prosieguo della gravidanza cambia anche la postura, il modo di camminare; la stessa cosa succede anche man mano che entriamo in intimità con la Parola, ci si accorge di come la Sua presenza davvero diventa lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino (cfr Sal 119,105), capace cioè di farci guardare in alto, a Lui, più che ai nostri limiti, dandoci certezze per andare avanti e proseguire il viaggio, qualunque esso sia, donandoci piedi agevoli e ben piantati a terra con occhi che però fissano il cielo. Man mano che il pancione cresce subentra la fatica, si ingrossano le caviglie, ci si stanca presto, arriva anche l’ipertensione e si pensa “ma chi me lo ha fatto fare”, ma intanto la creatura cresce, prende forma e la sera, magari stanche per la giornata pesante, allungando le gambe, ci si accarezza la pancia!
La bellezza della Vita che cresce dentro di noi ha la meglio sulle nostre sofferenze, sulle nostre stanchezze. Con la Parola la situazione è similare, per cui a volte si fa fatica a seguire Gesù, si vorrebbe non averlo mai conosciuto, questo soprattutto nelle situazioni difficili, mentre è proprio in quei momenti che siamo chiamate a rimanere, a far germogliare quanto ci è stato donato, a curare la nostra relazione con Dio ancora di più, a guardare alla sua bellezza. Questo perché il Signore possa crescere in noi e quindi intorno a noi, e portare frutto anche laddove pensiamo non sia possibile.
Maria in questo ci è maestra, infatti a lei che ha chiesto: “Come accadrà questo?”, le fu risposto: “Nulla è impossibile a Dio!”. Questo, continua a dirlo ancora oggi ad ognuna di noi. Appartenere a Cristo significa far operare Lui in noi, diventando noi stesse suo corpo, per arrivare ad affermare come San Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,16), essere quindi dei tabernacoli viventi, che portano Cristo in giro per il mondo.
È questa la fecondità che ci è richiesta, nella nostra vita, così come in quella di chi ci sta accanto. Significa essere donne di speranza, che come Maria sanno guardare in profondità la realtà, cogliendo gli eventuali disagi, e questo per essere pronte a rispondere al suo appello, come alle nozze di Cana, quando ordinò: “Fate quello che vi dirà!”. Offrire quindi le nostre attese, cosi come quelle di chi incontriamo, all’Unico in grado di donare il vino buono che da gusto alla vita. Solo così ogni esistenza potrà diventare un canto di lode, un continuo Magnificat.
Tutto questo però ha bisogno di una gestazione, la Parola va ruminata, continuamente ripresa, perché a volte vorremo tutto e subito, ma ognuno ha i suoi tempi e anche il Signore ha i suoi, che a volte non sono i nostri. È chiaro che spesso ci si può sentire disorientate, pensare di non essere all’altezza, avere paura, ma anche qui, come Maria, affermare nell’umiltà: “sono la serva del Signore avvenga in me secondo la tua Parola”. Tenendo sempre presente che proprio perché di Cristo, siamo certe che c’è in noi un Altro che, avendo iniziato in noi quest’opera buona, la porterà a compimento (cfr. Fil 1,6), sempre se solo lo lasciamo fare.
Da Maria non possiamo che imparare l’arte dell’abbandono affinché questa Parola cresca in noi e venga alla luce in tutta la sua bellezza. Imparando da lei ad avere sul mondo lo stesso suo sguardo, che è poi lo stesso sguardo di amore di Dio. Come Maria, essere quindi beate, non tanto per le cose che siamo in grado di fare da noi, ma unicamente per quello che il Signore, il Potente, ha fatto e continuerà a fare in noi e per noi, generando Cristo ovunque, sempre e comunque. Imparare quindi da lei ad avere fiducia in Dio, a perseverare, e nel silenzio, a meditare, a custodire tutto nel cuore, perché proprio come lei, certe di un Amore che non ha eguali, possiamo esultare in Dio, e come lei camminare fino dove Dio vorrà.