Quante volte a noi maschietti di casa ? capitato di sentirci degli eroi? Un po? come ? capitato a me l’altra sera, quando ho salvato la casa da una ormai imminente esondazione di acque reflue, sturando il water con inusitata perizia e totale sprezzo del disgusto. Si, se ve lo state immaginando, non ? stato affatto piacevole.
O come quella volta che intrepidamente ho riannodato i fili per stendere il bucato, perigliosamente esposti dal balcone. O quell’altro volta, quando ho sacrificato una buona ora del meritato riposo del weekend per lavare le scale… Quante ne potrei aggiungere?
E diciamocelo, in quei momenti il nostro ego si inebria e inorgoglisce al pensiero di quanto siamo stati utili, no, di pi?, indispensabili, alla sopravvivenza e alla serenit? della nostra famiglia. E al tempo stesso rimane in attesa di una sacrosanta ricompensa perch?, in fondo, la gestione della casa non dovrebbe essere cosa nostra, di noi maschi intendo, no? Non sono forse le nostre adorate mogli gli angeli del focolare?
Questa epica e giocosa introduzione voleva tentare di entrare senza traumi in uno dei temi pi? controversi e suscettibili di screzi e litigi della vita di coppia: la gestione della routine domestica.
Gestire una famiglia, lo sappiamo bene, richiede dedizione, costanza e abnegazione. Da parte di entrambi gli sposi. Si condividono gli sforzi pi? grandi, come pu? essere ad esempio l’educazione di un figlio, ma si condividono anche i tanti quotidiani adempimenti necessari a condurre ogni giorno fino all?agognato riposo della sera, nel modo pi? armonioso e sereno possibile.
Nella nostra societ? contemporanea, che esalta l?individualismo come un dogma, l?idea di una famiglia in cui i coniugi e i figli accettano di rivestire ruoli distinti e ugualmente dignitosi suona come oscurantismo bigotto, una stortura da combattere con tutte le armi delle migliori crociate.
Negli ultimi anni sono state soprattutto donne, cattoliche e non solo, a opporsi all?omologazione culturale e a riprendersi il diritto di essere felici di essere mogli, mamme e di volere davvero la felicit? del proprio marito e dei propri figli. Nel farlo, vengono costantemente accusate di favorire il perpetrarsi di odiosi stereotipi di genere (quanto invece mi ? in odio ormai questa espressione!)
Io, da maschio, non intendo rimarcare queste posizioni, perch? non ho nessuna intenzione di dover rispondere a mia volta di essere un bigotto stereotipante. Mi piacerebbe semplicemente porre l?accento su quella che ritengo la vera prospettiva del matrimonio cristiano, che ? l?esempio di Ges?. E Ges? stesso, morendo in croce per poi risorgere alla Vita, ha mostrato che amare significa innanzitutto morire a se stessi per far posto all?altro. Punto.
Io muoio a me stesso quando sturo il lavandino, quando accompagno i figli a scuola, preparo la tavola o cambio una lampadina. E mia moglie lo fa quando compie la smisurata mole di lavoro domestico che consente, stavolta sul serio, la sopravvivenza della famiglia.
In genere il bucato lo fa lei (diciamo pure sempre) mentre la spazzatura la porto io. Ma se capita di dover cambiare un pannolino a me, non tiro fuori il mansionario per obiettare che non mi spetta. Sono convinto che nessun marito cristiano lo faccia. Semplicemente, per noi maschi, ? un?esperienza meno comune, perch? i bambini passano molto pi? tempo con le madri, perch? lo ha stabilito la natura, non la Chiesa.
Da parte mia forse dovrei imparare a dire pi? spesso ?grazie? e a non dare per scontato tutto l?Amore incarnato che ricevo ogni giorno in casa. Gli stereotipi di genere non c?entrano nulla, anzi, l?espressione mi d? fastidio. Io, come ogni marito che si rispetti, voglio amare mia moglie come Cristo comanda, il che significa, ebbene s?, morire per lei.
Detto questo, se possibile, risparmiatemi di stirare.