“Ormai erano anni che questa storia andava avanti: aveva aspettato, aveva provato, aveva sperato e pregato, ma non era accaduto niente. Non si apriva nessuna strada: a lei la maternità sembrava negata. Chi poteva garantirle che lui un giorno non avrebbe voltato lo sguardo altrove, magari proprio a Lia, madre dei suoi figli? Chi poteva rassicurarla del suo amore per sempre? Il tempo correva e lei invecchiava; andando avanti le cose potevano solo peggiorare. Ci voleva un figlio, un legame forte. Sì, sarebbe stata una soddisfazione per lui, un riscatto per lei: un erede avrebbe rimesso tutto a posto, le avrebbe ridato il suo legittimo posto, la avrebbe riabilitata di fronte al marito e alla società tutta. Doveva trovare un modo per ottenerlo, altrimenti sarebbe impazzita. (…) Aveva immaginato che dopo l’unione di Giacobbe e Bila, la sua serva, tutto sarebbe cambiato, aveva sperato che con un figlio sarebbe stata tranquilla, non avrebbe più guardato con invidia e con gelosia la sorella. Eppure non era andata così: si era illusa che non avrebbe più sentito il peso della sua condizione, invece continuava a pensare che lei era sterile, che Dio non l’aveva benedetta, che senza un figlio generato nella sua carne non poteva essere felice. Ormai ogni cosa che accadeva riportava lì il suo pensiero, ogni parola che ascoltava, ogni persona che incontrava riaccendevano in lei gelosia e paure. (…)erano rivali, in gara, entrambe sentivano il bisogno di riconoscimento, il desiderio di amore, l’urgenza di affermarsi…un figlio era diventato irrinunciabile, un fine, non un dono, era necessario per lei, per realizzare il suo desiderio, appagare il suo bisogno, sentirsi di esistere. Aveva voglia di essere come tutte le altre donne: anche lei madre. Pensava di meritarlo, in fondo chiedeva una cosa normale, buona, legittima. Era certa che avrebbe risolto il senso di vuoto che la abitava, era certa che condividere un figlio nella carne avrebbe significato essere legati per sempre, che concepirlo e darlo alla luce le avrebbe fatto guadagnare una posizione diversa agli occhi di Giacobbe, che avrebbe aggiunto valore alla sua persona e al loro rapporto.(“ E voi, ancora niente figli? Al di là della fertilità, la chiamata di ogni coppia alla fecondità, S. Paolo, 2021)
Da un desiderio a un “idolo”
Ognuno di noi ha nel cuore dei desideri e cerca di realizzarli. Spesso sono desideri buoni, anzi, santi, ma se diventano irrinunciabili fino a dominarci, se vanno raggiunti a ogni costo, se sono il centro dei nostri pensieri, delle nostre azioni e del nostro tempo, se, in fondo, sono il mezzo per appagare un desiderio altro…ecco, forse, stiamo vivendo quel desiderio, pur legittimo, buono e santo, come un idolo.
Un idolo è qualcosa che mettiamo al centro, cui dedichiamo energie, cui pensiamo sempre… diventa il perno della nostra esistenza, il motivo delle nostre scelte, il fine delle nostre azioni… qualcosa da cui ci aspettiamo pienezza, ma che, in realtà, non può darcela. Può essere il lavoro, la realizzazione personale, il proprio aspetto fisico, oppure la posizione sociale, una bella casa…Anche un figlio desiderato, atteso, o persino presente…può diventare un idolo da cui ci aspettiamo la vita.
Lia e Rachele: un desiderio buono per un fine sbagliato
Un desiderio buono, ma per una strada e un fine sbagliati, sono al centro della vicenda di Rachele Lia e Giacobbe che, a guardar bene, non sono così diversi da noi.
Entriamo nella loro storia contorta e dolorosa.
Giacobbe scappa dal fratello Esaù che ha ingannato e giunge presso lo zio Làbano. Al pozzo incontra la figlia Rachele ed è colpo di fulmine, lavora per ben sette anni presso Làbano per averla in sposa, Giacobbe è, infatti, molto innamorato. E, poi, quando arriva il momento… lo zio gli rifila Lia, la sorella maggiore, che, a detta della Bibbia, “aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto” (Gen 29,17-18).
Nato da un inganno, il matrimonio con Lia si rivela doloroso per lei: Giacobbe rimarrà ostile, manterrà un sentimento diverso da quello per Rachele per la quale, subito dopo, accetterà altri sette anni di servitù. Sarà lei la prediletta, l’unica amata, nonostante il passare del tempo, gli sforzi di Lia, nonostante in breve emergerà la sua sterilità. Lia, tuttavia, desidera l’attenzione del suo sposo e spera di ottenerla attraverso i figli. e, quando non basteranno i primi quattro nati nella carne, ricorrerà alla propria schiava per generarne ancora. Rachele, pertanto si servirà alla propria serva per dare anche lei eredi a Giacobbe, in un crescendo che sembra non avere limite: il figlio diventa mezzo per conquistare il cuore dell’amato, nonché termine di paragone tra le due donne. Non basta mai, perché è in funzione di una sete che resta inappagata e sta oltre. Come ogni idolo, il figlio così generato non unisce la coppia, non appaga la sete di comunione e di eternità che solo Dio può colmare. Entrambe al centro hanno messo il proprio desiderio, per loro lo scopo è altro e oltre la maternità: al centro non c’è il dare la vita, ma il cercarla!
Noi e il nostro idolo
A guardar bene, ognuno di noi porta nel cuore un idolo, più o meno visibile, impegnativo, ammantato di bontà. Tutti presi dal nostro idolo, rischiamo di perdere di vista la comunione, la relazione, il sacramento, il “noi”.
Sì, il divisore a volte fa così, ti fa vedere un particolare, lo ingigantisce e lo assolutizza. E tu perdi di vista l’insieme e, soprattutto, il senso. Anche quando si tratta di un figlio.
Il figlio come idolo
Un figlio può essere un idolo quando non viene, ma anche quando viene, per la sua assenza o per la sua presenza, può essere strumento in un gioco di potere tra sposi, o merce di scambio. Detto così sembra crudo o impossibile, ma nella realtà tutto avviene silenziosamente all’ombra delle nostre emozioni o nelle pieghe sottili delle nostre intenzioni, nel sotteso al non detto, in piccoli atteggiamenti o in grandi discussioni.
A volte facciamo fatica a ricordarci che desiderato o indesiderato, implorato o arrivato, atteso o inatteso un figlio è un dono dato alla coppia, ma non per la coppia. Non per goderne, plasmarlo, ostentarlo, ma per custodirlo.
Il figlio come dono
È qui il più grande fraintendimento della genitorialità: la convinzione che aver partorito o l’essersi sbattuti tanto per incontrare il proprio figlio, dia diritto a possederlo. È nostro. Sicuramente realizzerà non solo il nostro sogno di diventare genitori, ma tutto ciò che nel nostro animo è bene per lui. E per noi, per la nostra immagine, per le nostre aspirazioni rimandate, per i nostri sacrifici in attesa di risarcimento, per i nostri fallimenti in attesa di riscatto.
Ecco, essere fecondi come genitori non coincide con l’essere soddisfatti, appagati, realizzati nel proprio sogno e nei propri sogni: i figli sono altro da noi e, come tali, sono anche loro chiamati a realizzare la propria vocazione nella vita. Solo una coppia di sposi consapevole che i figli sono un dono e non una proprietà può essere segno per i propri figli di una Paternità più grande, quella di Dio.
📌 Vi invitiamo a prendere un tempo per rileggere il vostro presente e chiedervi se c’è un idolo nella vostra vita personale e di coppia. A cosa dedicate tempo (conteggiatelo!), attenzione, energia? Come vivete ciò? Con smania o con serenità? Come dono del Signore o come obiettivo irrinunciabile?
📌 Un aiuto… fissate una durata, decidete voi prima di iniziare quanto tempo avete a disposizione.
- Predisponete un piccolo angolo di preghiera: basta un’icona, oppure un’immaginetta, o una croce, un fiore, un lumino, un’adorazione a distanza (clicca qui).
- Mettetevi in preghiera invocando lo Spirito Santo, oppure ascoltate un canto, o facendo un tempo di lode.
- Prendete un tempo da soli (fissate prima la durata!) per rileggere la vostra vita secondo quanto indicato.
- Ancora da soli decidete il prossimo passo (piccolo, possibile, concreto, verificabile, immediato).
- Condividete quanto il Signore ha detto al vostro cuore. Ascoltate l’altro accogliendo in silenzio ciò che di prezioso vi consegna.
- Se avete individuato un “idolo di coppia”, confrontatevi per decidere insieme il prossimo passo (piccolo, possibile, concreto, verificabile, immediato).
- Pregate insieme per invocare lo Spirito Santo sulla vostra vita e sul vostro cammino.
Buon cammino!
Ecco gli altri passi del nostro cammino
(una volta che li avremo scoperti insieme li potrai vedere cliccandoci sopra)
- Amore fecondo
- Fertilità e fecondità
- Giobbe e sua moglie
- Abramo e Sara
- Elkanà e Anna
- Maria e Giuseppe