Quarta domenica di Avvento.
Oggi vogliamo riflettere sull’asino e sul bue.
Impossibile trovare un presepe senza asino e bue. Due statuette amatissime dai bambini e, forse, date per scontate dagli adulti che non tralasciano di posarle nella grotta, come se fosse assolutamente naturale.
Eppure nel Vangelo di Luca, l’unico che narra della nascita di Gesù, non troviamo citati questi due animali.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.
Lc 2,7
Ora… il fatto che non siano citati non vuol dire che non siano presenti! Può anche essere che semplicemente Luca dia per scontata la presenza di un asino e di un bue in una stalla e quindi non sia degna di nota la loro citazione.
Perché allora se non c’è traccia di questi animali nel Vangelo, San Francesco nel famoso presepe di Greccio e Giotto nella “Natività” li inserirono?
Benedetto XVI ci spiega perché la tradizione assegna loro un posto d’onore nella grotta di Betlemme:
Il bue e l’asino. Il bue e l’asino del presepe non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia leggiamo: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.
Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.
Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”? Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è cieca?
Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale. Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?
Orbene, a non riconoscere fu Erode. Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione (Mt 2,3). A non riconoscere fu “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” – se paragonati con queste persone rinomate –: i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è lui, non abitano le persone raffinate, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.
E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo? Non ci perdiamo anche noi in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di lui? Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare?
In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda: il mio popolo non comprende, comprendi tu la voce del tuo Signore?
Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di san Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia.
Tratto da Joseph Ratzinger, Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa
Cosa dice a noi, mogli e mamme, questa riflessione?
Direi che possiamo attenerci pedissequamente alle parole di Benedetto XVI: siamo disposte, cioè abbiamo una posizione disponibile, per riconoscere il Salvatore, il nostro Signore? O siamo arroccate nei nostri palazzi, con le nostre strutture mentali inadatte per accogliere il Mistero di Dio?
Nella concretezza allora, seguendo sempre le parole del Papa, ti proponiamo questi piccoli gesti:
- Mentre collochi (o risistemi) la statua dell’asino e quella del bue nel tuo presepe (perché ci sono, vero?) chiedi a Dio di concederti la semplicità del cuore riconoscendo così nel Bambino il tuo Signore (oppure ripeti la giaculatoria: Mio Dio, sei Tu la mia salvezza)
- Scalda il cuore di chi è vicino a te e sta soffrendo. Una telefonata, un breve messaggio,… sii quell’asino che porta il peso del viaggio e quel bue che scalda con il suo fiato il cuore della natività.
- Scrivi (o stampa cliccando qui) un biglietto da porre vicino al presepe: TUTTI SE NE TORNARONO A CASA PIENI DI GIOIA
Buon cammino di Avvento a tutti e a ciascuno!
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