Commento agli articoli 26- 73 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Per i precedenti articoli su #ilcatechismoinunanno clicca qui.
Iniziamo la lettura del Catechismo a partire dal primo capitolo, che si intitola “L’uomo è capace di Dio”. Mi è subito balzato in mente Roberto Benigni. Volete sapere perché?
Ricordate le sue serate sul tema dei Dieci Comandamenti? Nell’introduzione, Benigni dice, all’incirca: “quando si parla di Dio non ci si capisce niente, non ci si deve capire niente. […] è secoli che l’uomo utilizza l’organo sbagliato per comprendere Dio, è come versarsi il caffè nell’orecchio e dire “com’è?”
Con queste parole, Benigni intende dire che la mente, la ragione umana, non sono adatte per comprendere Dio. Pur capendo il senso del suo discorso, non posso fare a meno di notare che l’introduzione del Catechismo si pone in modo diametralmente opposto.
La Chiesa introduce tutto il discorso su Dio partendo da un presupposto ben diverso: l’uomo è capace di Dio.
L’uomo è un essere religioso, per natura e per vocazione (CCC, 28, 44): l’uomo è creato da Dio capace di desiderare Dio, di intuirlo, di conoscerlo.
Julien Ries, antropologo e storico delle religioni, introduce il termine di Homo religiosus. Secondo questo antropologo, l’uomo non è solo storicamente legato al Sacro – fin dalle civiltà più arcaiche troviamo segnali di una coscienza religiosa, ad esempio nella sepoltura dei morti, nella contemplazione della volta celeste, nella ricerca della bellezza.
Ries afferma che è addirittura la presa di coscienza religiosa il fondamento dell’ominizzazione. Un uomo la cui stessa soggettività è strutturata da questo rinvio irriducibile, irrinunciabile, alla trascendenza, ad un’alterità.
In noi esiste una dimensione spirituale che non possiamo negare: dobbiamo riconoscere che non siamo fatti soltanto di materia e abbiamo non solo il desiderio ma anche la necessità di nutrire questa dimensione spirituale.
Altrimenti c’è un grande rischio:
Senza il riconoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascendente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovare risposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e a conquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno a sperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta.
Benedetto XVI, messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace, 2.
Comprendere l’esistenza di Dio non è contro la ragione, perché fa parte della natura dell’uomo. Il Catechismo afferma che
Per mezzo della ragione naturale, l’uomo può conoscere Dio con certezza a partire dalle opere.
CCC, 50
Con certezza! L’osservazione del mondo che ci circonda e la conoscenza dell’uomo, nella complessità di ogni persona, nella naturale apertura alla verità, nella ricerca della bellezza, ci indicano con chiarezza che esiste una dimensione più alta, un Essere in sé, che non ha né origine né fine (CCC, 34).
Certo, la nostra conoscenza di Dio rimane sempre limitata: non possiamo mai arrivare a comprenderlo in pienezza, per un semplice motivo: io sono un essere finito, la mia mente, le mie capacità, la mia ragione sono realtà limitate, mentre Dio è infinito. Dio non può essere compreso completamente, abbracciato totalmente dalla mia conoscenza. E forse, immagino, era qui che voleva andare a parare quel “non ci si capisce niente” di Roberto Benigni.
In effetti, è vero: Dio rimane sempre un mistero.
Attenzione però al significato della parola mistero: il fatto che Dio sia un mistero non significa che non si può conoscere, bensì che non si può comprendere totalmente, la sua realtà sorpassa sempre la mia persona.
Ma Dio desidera superare questa finitezza umana, desidera entrare in intimità con noi.
Non si accontenta della nostra capacità di intuirlo, di desiderarlo: vuole mettersi in relazione profonda con l’umanità. Per questo si rivela a noi. La definizione di rivelazione che nasce dal Concilio Vaticano II è:
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza di rivelare se stesso e il mistero della sua volontà.
Dei Verbum, 2.
Quel “piacque a Dio” indica la totale libertà di questa decisione: Dio non vuole semplicemente far conoscere qualcosa di sé o trasmetterci delle conoscenze astratte. Vuole rivelare se stesso, la sua persona.
La rivelazione di Dio è la risposta sovrabbondante al desiderio naturale dell’uomo di arrivare a conoscere Dio.
La rivelazione esiste da sempre: fin dalla creazione Dio comunica, parla, si mette in relazione con l’uomo e con la donna. E continua a comunicare se stesso attraverso un percorso lungo tutta la storia della salvezza: Dio vuole legarsi con l’umanità, vuole stringere un’alleanza, vuole entrare sempre più in relazione in un crescendo che porterà alla rivelazione in pienezza, al culmine definitivo: la persona di Gesù.
In Gesù, Dio non fa conoscere qualcosa di sé, ma dona tutto se stesso.